Pretendere di giudicare oggettivamente una storia nella sua interezza senza neanche degnarsi di guardarla fino alla fine non è sicuramente la scelta più intelligente che un creator possa fare, e ciò è dovuto ad una serie di ragioni a cui probabilmente dedicherò un articolo in futuro. Ma a dirlo, tra tutti, sono proprio io…che il 5 Gennaio ho fatto uscire la mia recensione sulla prima stagione di Mob Psycho 100, nella quale mi sono affidato a ONE e Hiroshi Seko affinché gli eventi del sequel non mi costringano a cancellarla. Non essendo un lettore del manga ho dovuto gettarmi nell’ignoto e fare una scommessa, ma anche se lo fossi stato nessuno mi avrebbe garantito l’assenza di eventuali cambiamenti effettuati dallo staff alla storia di ONE.
Eppure, guardando adesso i risultati di questa scommessa, direi che il destino sembra esser rimasto dalla mia parte non solo perché la seconda stagione segue perfettamente il filone della prima, ma anche perché si riconferma nei suoi punti di forza da me elogiati e assottiglia le sue debolezze entrando ad approfondire proprio gli aspetti meno solidi che avevo menzionato.
Questa seconda parte delle avventure di Mob è così piena di spunti interessanti, sia a livello tecnico che narrativo, che pretendere di trattarli tutti in un solo post sarebbe una scelta troppo ingenua che non solo mi impedirebbe di dedicare ad ogni aspetto la dovuta e meritata attenzione, ma che finirebbe anche col rendere la lettura del post un’intollerabile tortura cinese. Per questa ragione ci beccheremo a breve con l’analisi del reparto tecnico, cercate di capirmi.
La seconda stagione rimane ancorata alle complesse tematiche che aveva affrontato precedentemente, come il ruolo del singolo nella società, la responsabilità nel gestire le proprie doti e la necessità di impiegarle per generare un impatto positivo sul mondo, ma riesce comunque a riproporle in maniera diversa e sempre interessante, accostandole però a personaggi diversi (o sugli stessi personaggi ma in modo diverso) e utilizzando quindi questo meccanismo per approfondirli ancora di più. Grazie all’ottimo adattamento di Hiroshi Seko (e di Tachikawa per l’arco di Reigen) possiamo inoltre godere di un’opera che riesce a bilanciare ottimamente gran parte degli avvenimenti di maggiore importanza con i classici episodi meno rilevanti ma divertenti ai quali la prima stagione ci aveva abituato. C’è da dire comunque che dopo una prima stagione che si concentra più verso la creazione di solidi legami tra Mob e i personaggi secondari con il fine di creare un’altrettanta solida base sulla quale costruire gli eventi del climax contro l’Artiglio, l’attenzione della narrazione in questa seconda stagione si sposterà principalmente sul trio Mob-Reigen-Ekubo, presentandoci in particolare un approfondimento del personaggio principale, a mio avviso quasi perfetto, accompagnato da due funzionali villain principali.
Ciononostante la narrazione sfrutta comunque i personaggi secondari per veicolare dei messaggi importanti e ne approfitta per dar loro una breve ma apprezzabile importanza, dimostrando l’immenso amore di ONE verso ogni sua creazione e la bravura dello staff nell’adattare il materiale originale amplificandone i messaggi. Shinji cerca di ricominciare da zero e si assume le responsabilità delle scelte che ha fatto e il Club del Rafforzamento Muscolare si riconferma il miglior gruppo d’amici che potremmo mai desiderare. Ritsu comprende di non esser mai stato geloso della forza psichica del fratello ma piuttosto della sua indistruttibile determinazione e volontà di migliorarsi, e trova in Sho un amico con il quale condividere le preoccupazioni verso la salute mentale di una figura importante nella sua vita. Teruki assimila come non mai la lezione datagli da Mob ed inizia anche lui un processo di miglioramento del prossimo che nasce dall’esempio. Continuano inoltre i rimandi allo sforzo come unica, vera e difficile strada da percorrere per raggiungere l’auto realizzazione, e con essi la storia prosegue nel descrivere quello dei poteri psichici come un potere sul quale non si ci deve affidare in quanto non frutto del sacrificio. Musashi e Dimple insegnano allo spettatore che i muscoli rafforzati dai poteri psichici non potranno mai vincere contro quelli ottenuti dal duro e costante allenamento. Teruki ripete le importanti parole con le quali Mob gli aprì gli occhi a Shimazaki, che seppur capace di sconfiggere gli esper più forti del mondo viene messo KO da Reigen come se nulla fosse. E infine Mob pone a riflettere i soldati del quartier generale dell’Artiglio chiedendo loro se fossero capaci di produrre le lattine e il cibo che avevano intenzione di derubare. Ma a mio avviso il miglior esempio è sicuramente quello della maratona dell’ottavo episodio, nella quale Mob mostra tutta la sua determinazione e volontà di migliorarsi pur andando in contro ai suoi limiti fisici.Ma tra i tanti interessanti sviluppi ai quali andiamo in contro durante tutto l’arco della serie, quello di Mob è sicuramente quello più drastico. Ci approcciamo del resto ad un personaggio parecchio ingenuo il cui unico vero momento di gloria arriva soltanto quando smette di essere se stesso e si abbandona alle sue emozioni, cedendo quel lato umano della sua personalità che tanto si è sforzato di preservare e migliorare. La sua crescita caratteriale non può quindi che iniziare con un primo episodio nel quale ritroviamo la caratteristica più importante che lo distingueva come persona nella prima stagione: l’ingenuità. Il casuale arrivo di Emi nella sua vita rappresenta sia l’ennesima prova del suo eccessivo altruismo che il meccanismo che, una volta azionato, lo spinge a riflettere sui suoi comportamenti e sul suo carattere. Mai prima d’ora Mob si era accorto di star seguendo come un burattino ciò che gli altri avevano deciso per lui, e la realizzazione di tale scioccante verità è abbastanza dura da abbatterlo ma non da sconfiggerlo. Shigeo mostra infatti sin da subito la sua determinazione e affronta la cruda verità decidendo di cambiare se stesso…di considerare di più le sue opinioni.
Da che pulpito, però, arriva la critica di Emi. Per paura di essere esclusa dal gruppo d’amiche con le quali passa la maggior parte del suo tempo, ha deciso di annullare se stessa soltanto per amalgamarsi perfettamente alle implicite regole della società nella quale vive. Emi annulla se stessa per piacere agli altri, ed è proprio per questo che la determinazione di Mob è per lei fonte di grande ispirazione e ammirazione. Con la sua coraggiosa decisione Shigeo la salva dal giudizio delle sue amiche, mostrandole come sia effettivamente possibile affermare la propria volontà senza preoccuparsi delle ripercussioni che questa scelta porterà con sé.

Le conseguenze dell’importante lezione imparata da Emi, tuttavia, si riveleranno presto difficili da affrontare: decidere di diventare il responsabile delle proprie azioni comporta la necessità di determinare il criterio in base al quale decidere sul da farsi, ed è proprio qui che ne vediamo delle belle. È infatti nel terzo episodio che, seppur attraverso delle dinamiche a mio avviso un po’ forzate che faranno dimenticare a Reigen di poter fingere un’esorcismo (come del resto ha sempre fatto) per salvare il suo allievo dal distruggere tutto, Mob affronterà il problema che più metterà in conflitto la sua morale: quello del concetto di bene e male. Fino ad ora questo problema era sempre stato risolto con l’eliminazione degli spiriti in quanto malvagi e intenzionati a far del male agli esseri umani (considerati semplicemente come vittime) e di fatto la possibilità secondo cui effettivamente i ruoli si scambino è sempre stata da lui ignorata (o mai considerata), portandolo a farsi trovare impreparato nel momento in cui essa si presenta per davvero. A dover compiere la scelta adesso non è più Reigen, ma lui. Questo nuovo, vasto e sconosciuto mondo che gli si apre davanti- questo ignoto orizzonte che i suoi occhi percepiscono -si rivela una sfida enorme che lo pone in un complesso conflitto morale dal quale però ha bisogno di uscire. La sua non è una riflessione che si basa su una semplice analisi del problema presente, ma piuttosto un’intelligente e lungimirante preoccupazione dovuta dalla paura di commettere degli errori, di sbagliare a scegliere e fare del male a chi invece non lo merita affatto.Eppure Mob ha sempre avuto al suo fianco uno spiritello che è sempre stato l’esempio perfetto di come, effettivamente, non tutti gli spiriti siano malvagi. Ekubo infatti passa dall’essere uno spirito che lo accompagna soltanto perché in cerca del momento giusto per pugnalarlo alle spalle (ed impossessarsi del suo immenso potere) ad un compagno pronto a sacrificare persino se stesso per salvarlo. Il suo cambiamento, scaturito dall’affetto che gli esseri umani hanno sempre creduto gli spiriti non potessero provare, è la perfetta evidenza di come essi non siano affatto malvagi. La presenza di Ekubo si trasforma in una costante che di fatto sostiene Mob nei momenti più difficili, aiutandolo a mantenere la calma alla vista dei finti cadaveri dei genitori o svegliandolo dal “sonno” nel quale è stato intrappolato nel quinto episodio. Tra i due personaggi esiste ormai una profonda fiducia che viene data per ovvia dallo spettatore ma che in realtà non lo è affatto. Per Shigeo egli arriva persino a salvare Musashi da Shibata, e lo fa soltanto per evitare di causare dolore al suo prezioso compagno d’avventura. Seppur rimanga l’orgoglio e non ci sia un effettiva dichiarazione d’amicizia -e alle volte Ekubo finga persino di compiere certe azioni generose solo perché in cerca di un profitto personale- lo spiritello rimane sempre fedele e si dimostra un grande alleato, un’ottima risorsa nei momenti di grande difficoltà e un’ottima compagnia quando necessario.
Ma tornando al quesito che Mob si pone nel finale del terzo episodio, la narrazione si incarica di fornirci la risposta a questo problema nella stessa puntata. A guidarlo, proteggerlo e sostenerlo durante il suo cammino ci sono dei meravigliosi amici pronti a supportarlo sempre e comunque. E ad incaricarsi di mostrargli quanto sia stato fortunato ad averli al suo fianco è proprio l’arrivo di Mogami, che invade il palcoscenico con i suoi abbondanti sentimenti negativi. Del resto la sua vita è stata una continua ricerca della felicità culminata con l’intollerabile disperazione causata dalla realizzazione che gli immensi poteri con i quali è stato benedetto (o maledetto) semplicemente non sono abbastanza per salvare sua madre dal destino che l’attende. La disperazione e l’angoscia che lo pervadono si riflettono perfettamente nel tragico mondo distorto nel quale rinchiude Mob, e il suo perverso tentativo di infangarlo richiama l’incontrollabile pazzia che lo affligge e sottolinea la sua convinzione secondo cui qualsiasi altra persona nella sua stessa situazione avrebbe agito allo stesso modo. Diventare un assassino gli ha mostrato la parte più terrificante e orribile del mondo nel quale vive e alla fine si è semplicemente lasciato corrompere, diventando uno spirito maligno. Ciò che, però, è sfuggito anche a lui è l’importanza del ruolo che i legami con gli altri ha nella nostra vita. Ed è proprio per difendere questi legami che Mob ha fatto tanta fatica a costruire che poi entrerà in conflitto con Reigen, che invece tenterà di sminuirne il valore e di farli passare per degli approfittatori. Ciò che è importante comprendere in questo punto è che il Mob della prima stagione avrebbe sicuramente dato ascolto a Reigen ed abbandonato i suoi amici (e lo faceva), ma grazie alla lezione imparata da Emi e Mogami riesce a battersi per le sue idee.
Minori inoltre gli insegna che persino una persona come lui può cambiare gli altri, ed è davvero bello vederla crescere e pentirsi delle orribili azioni che ha commesso.
Il tutto avviene comunque in un adattamento che comprende un quarto e quinto episodio che si trattengono molto nell’affrontare le tematiche trattate con la stessa crudeltà con la quale vengono descritte nel manga, la cui lettura in quest’arco si rivela meno tollerabile per lo spettatore. Nel suo manga ONE si pone l’obbiettivo di mostrare il crudele mondo nel quale Mob sarebbe potuto finire in tutte le sue sfaccettature. Scene come il triste suicidio di Mogami, il gatto pestato dai ragazzini e la coltellata di Minori a Mob sono tutte omissioni che alleggeriscono il peso della narrazione. Faccio questa breve osservazione perché ho letto in giro un discreto mal contento da parte dei lettori del manga, che si sono lamentati per questi tagli proprio perché senza di essi “la storia non è la stessa”. Ma laddove la narrazione non riesce ad arrivare a causa della mancanza di tempo, ci pensa l’animazione con tutta la sua meravigliosa potenza a riparare il problema. L’adattamento animato del quinto episodio fa di tutto per rilasciare costantemente un’aura oppressiva e asfissiante, e rappresenta un mondo perfettamente in accordo con lo stato mentale del suo ideatore e con la negatività dell’arco in questione.
Quello di Mogami è un intervento che inoltre serve a Mob per fare sua un’altra grande lezione: la fiducia nel prossimo è importante ed è di fatto il collante che unisce la società e che ne favorisce la crescita, ma alle volta la fiducia delle persone viene abusata ed è necessario bilanciare correttamente le due cose. Se Mob quindi riuscirà ad essere severo con le persone quando necessario allora diventerà invincibile in quanto non abbandonerà del tutto la sua innocenza ma saprà distinguere correttamente i momenti in cui affidarsi agli altri. E questo aspetto sulla fiducia si ricollega perfettamente agli avvenimenti della prima stagione: Mob, attraverso l’esempio, ha di fatto dato una lezione a Ritsu e Teruki, affidando però allo stesso tempo a questi ultimi il compito di determinare in che modo assimilarla, e soprattutto se accettarla e cambiare in positivo o rifiutarla e perseverare nei loro comportamenti. E ripensandoci, effettivamente Mob non ha mai ricorso alla violenza se non per difendere le persone a lui care, e l’unico modo che ha utilizzato per convincere gli altri è sempre stato l’esempio. E ciò avviene semplicemente perché Mob non ha mai considerato la possibilità di mostrare agli altri il giusto percorso con la violenza, e nel terzo episodio ce ne accorgiamo perfettamente. Dopo aver salvato Mob dall’aggressione di due bulletti, Musashi anticipa le tematiche dell’ultimo arco narrativo adattato nella seconda stagione cercando, nel suo piccolo, di dare una lezione a Mob, che però semplicemente non riesce a cogliere in quanto non ancora pronto. La sua risposta è però sintomo di quell’ingenuità e incondizionata fiducia che tutt’ora lo pervadono. Ma questo non sarebbe un problema se, spinto dalla sua volontà, Mob decidesse di rifiutare la violenza e si assumesse le disastrose ed ovvie conseguenze che questa scelta avrebbe portato, ma il punto è che la possibilità di fare del male agli altri non viene neanche presa in considerazione dal personaggio.
Tuttavia, come abbiamo visto, alle volte la fiducia non basta…e per far calmare Toichiro Suzuki non c’è altra via se non quella dei pugni.
Il rapporto tra il singolo e la società, e il ruolo che l’individuo ha in essa, è un tema con il quale ci si imbatte spesso nelle opere di ONE e, allacciandoci all’argomento appena trattato, possiamo notare come Mob e Suzuki ne rappresentino due concezioni lontane anni luce tra loro. Il Boss dell’Artiglio, infatti, ha una visione completamente diversa del mondo e riassume in essa tutta la filosofia dell’organizzazione, estremizzandola al massimo e aggiungendoci il “giusto tocca di modestia” al quale nessun cattivo può rinunciare. Con Suzuki la fiducia diventa una barzelletta in quanto l’obbiettivo non è quello di generare un miglioramento nei suoi alleati ma bensì quello di costringerli con la forza e con l’autorità a sposare la sua contorta causa. La fiducia fa quindi spazio all’aspettativa e l’amicizia cede il posto alla subordinazione, e il rapporto che ne scaturisce non può che essere estremamente fragile. Gli Ultimi Cinque non hanno mai creduto sul serio alle sue ambizioni e lo hanno seguito per puro divertimento, curiosità o perché ingannati dal suo apparente affetto nei loro confronti, e di fatto la loro volontà si dimostra davvero facile da spezzare. L’obbiettivo di Suzuki non è quello di farsi dei compagni e crescere insieme e grazie a loro, ma quello di creare dei burattini al suo comando. L’individuo non va spinto verso il miglioramento in quanto questo contribuirebbe alla crescita della ridicola società nella quale vive e che deve essere completamente riformata in quanto volta verso la più sbagliata delle direzioni: l’annullamento del singolo e l’affermazione della collettività.
Durante il confronto con alcuni esper artificiali dell’Artiglio, Mob afferma che l’aiuto del prossimo è fondamentale per la sopravvivenza del singolo, mostrando quindi una visione delle cose opposta rispetto a quella di Suzuki. Amalgamarsi alla società vuol dire riconoscere il prossimo come mio pari; eppure como posso io, che sono l’esper più forte del mondo, essere considerato allo stesso livello di un comune essere umano? La sua incredibile mole di potere non solo diventa il pretesto per considerarsi superiore rispetto alla massa -e speciale tra gli esper-, ma diventa anche la base sulla quale fondare le proprie idee di rivoluzione, che si propone di raggiungere attraverso un utilizzo dei poteri volto a distruggere il prossimo e non ad aiutarlo.
L’approccio di Mob è, secondo ONE, quello corretto in quanto favorevole alla crescita della collettività che avviene attraverso la reciproca motivazione del singolo. Ciò che vince è la collettività che però diventa allo stesso tempo il mezzo per migliorarsi e crescere individualmente. Quando invece si cerca di riformarla abbattendola e risaltando il singolo, allora ciò che si ottiene è la sua completa distruzione in favore di un insensata auto celebrazione. Se quindi l’aiuto reciproco dato con il fine di crescere insieme raggiunge questo risultato, quello che invece viene dato con il fine di arricchire se stessi non fa altro che causare danni.

Mogami è Suzuki fungono come veicolo per rafforzare ancora di più i due forti messaggi che ONE vuole mandare con la sua opera e che già sono stati affrontati nella prima stagione. Suzuki ci mostra quanto sia importante non montarsi la testa e sacrificare ciò che più si ha di caro nel mondo solo per raggiungere il potere, mentre Mogami ci ricorda con la morte della madre quanto alle volte i poteri psichici semplicemente siano tanto inutili quanto qualsiasi altra abilità. Sono tanti i parallelismi che si potrebbero fare tra i due personaggi, ma tutti si riducono in realtà a due termini spesso menzionati durante le varie battaglie: fortuna e legami. Aver ricevuto una quantità così immensa di poteri si rivela per entrambi, così come per Mob, sia una fortuna che sfortuna in quanto l’esito finale dipende dal modo in cui questi vengono utilizzati in relazione con la società e con i propri cari. Suzuki ha rinunciato con estrema facilità ai legami che Mogami ha disperatamente cercato di salvare, finendo per montarsi la testa perché convinto di possedere un dono fuori dal comune con il quale poter dominare il mondo. Da questo punto di vista Mogami è forse quello che più si avvicina alla realtà e quello che, a sue spese, meglio comprende quanto ingenuo sia stato nel credersi superiore agli altri. A differenza di Mogami, che si sacrifica per le persone a cui tiene fino a compromettere la propria salute mentale, Suzuki si chiude in un mondo nel quale egli figura come dominatore assoluto e inizia a considerare qualsiasi persona come carne da macello semplicemente perché non al suo pari.
Se c’è forse un errore commesso da Mogami è stato quello di cercare di farsi carico dei suoi problemi da solo, ignorando la possibilità di cercare aiuto nelle amicizie e nei legami al di fuori di sua madre. Entrambi i villain, in fondo, hanno avuto la fortuna di ricevere grandi poteri che sfortunatamente li hanno lentamente corrotti e fatti allontanare dai propri cari, condannandoli all’oblio e all’autodistruzione.Serizawa è anch’esso un’altra versione “sfortunata” di Mob, in quanto la sua estrema ingenuità viene purtroppo sfruttata da persone malintenzionate, che lo manipolano soltanto per utilizzarlo come pedina per la sua causa. Non essersi quindi potuto circondare di persone come quelle con le quali Mob conta è stata di fatto la causa del suo decadimento mentale e infine della scelta di legarsi a Suzuki. Serizawa ha lasciato che fossero altre persone a decidere sulla sua vita e non ha mai imposto il proprio giudizio su quello degli altri o riflettuto attentamente su ciò che gli veniva ordinato, anzi ha sempre agito come indicatogli dal suo “padrone” semplicemente perché lo rispettava e ammirava per averlo salvato. Non ha saputo comprendere se stesso e non è riuscito, come ha fatto Mob, a prendersi più seriamente…a tenere in conto le sue idee. Ma ciò che più allontana (e avvicina) i personaggi è il loro rapporto con la società: Serizawa fugge da essa perché la considera spaventosa, inutile e pericolosa. Preferisce rinchiudersi nella sua stanza e vivere da solo nello stesso mondo desolato nel quale è rinchiuso anche il suo capo, allontanandosi dai suoi cari e rifiutando a prescindere qualsiasi aiuto. L’ex-hikikomori sceglie di rifiutare le sfide che il mondo porta con sé e decide a prescindere di non essere adatto ad affrontarle. Mob, d’altro canto, è determinato nel migliorare se stesso per poter far parte del mondo, e si getta nell’ignoto pronto a cambiare, a migliorare. Le sue esperienze e le nuove amicizie che farà saranno la causa del suo cambiamento e la base sulla quale si fonderò il “nuovo Mob”, che a sua volta, piano piano, ricambierà il favore ispirando gli altri.
Nel meraviglioso scontro finale tra i due personaggi il sostegno fornito dai legami torna ad essere il protagonista della narrazione. Mob rischia di sviarsi e di cedere alla mercé dei suoi poteri, ma è proprio la presenza del fratello a farlo tornare in sé e ad aiutarlo a riprendere le redini della propria mente, e dopo aver capito che potrebbe rimanerci secco riesce a ritrovare la motivazione proprio ripensando a quanto il dolore che stia provando sia poco e nulla se paragonato a quello che gli causerebbe perdere i suoi cari. Seppur Suzuki sembri ormai lontano dal poter essere salvato e Mob manifesti esplicitamente di aver abbandonato le speranze di poterlo salvare, ecco che entra di nuovo in gioco il profondo legame che lo lega ai suoi amici, sostenendolo nel duro compito di provare a salvarlo. Mob decide di non diventare un assassino, di concedere un’altra possibilità anche a chi probabilmente non la merita. Per Suzuki la decisione di Mob di sacrificarsi per salvarlo insieme ai suoi amici è davvero sconvolgente. Come lui stesso afferma Mob avrebbe potuto gestire molto meglio la situazione con i suoi enormi poteri, ma il semplice fatto di possederli non garantisce che le cose andranno sempre bene. Mob accetta le conseguenze della scelta che ha preso in piena sincerità e onestà con se stesso, mostrando a Suzuki delle possibilità che mai prima d’ora aveva preso in considerazione; possibilità che Suzuki, infine avrebbe voluto esplorare.Ma quest’enorme cambiamento di Mob è anche il meccanismo che innesca quello di Reigen, che si ritrova da un momento all’altro un compagno d’avventure molto diverso e soprattutto meno sottomesso. Il loro rapporto viene prima distrutto, poi esplorato nel dettaglio e infine ricostruito più forte di prima, e questo processo diventa il pretesto attraverso il quale, finalmente, possiamo esplorare la vita personale di Reigen e scoprirne i lati oscuri. Fino a quel punto, infatti, egli è sempre stato mostrato come un personaggio estremamente intelligente; sembra poter riuscire ad ottenere qualsiasi cosa solamente con la sua incredibile capacità oratoria, riesce ogni volta a mantenere la calma anche nelle situazioni più disperate e a salvarsi la pellaccia sempre e comunque, manipola le persone attorno a sé con facilità e tutto sembra sempre volgere a suo favore. Esser quindi testimoni della facilità con cui tutto questo gli si ritorce contro in un batter d’occhio mi ha fatto provare delle sensazioni molto contrastanti: da un lato ero dispiaciuto in quanto il personaggio mi aggrada, ma dall’altro (come sicuramente anche voi) stavo aspettando questo momento da parecchio tempo. Devo ammettere, infatti, che vedere Reigen crollare e pagare per gli abusi commessi a Mob è stato sadicamente piacevole. Eppure, la presenza stessa di questi sentimenti contraddittori è il risultato della (volontaria) poca chiarezza del personaggio in sé,
che ONE forse tarda un po’ troppo ad approfondire. Di fatto Reigen è forse uno di quei personaggi che più mette in conflitto lo spettatore, e lo fa semplicemente rimanendo perennemente in una sorta di limbo e affidando tutte le interpretazioni sulle sue intenzioni allo spettatore. E direi che i risultati si sono visti: il pubblico si è letteralmente diviso in due…tra chi amò il personaggio e lo difese a spada tratta, e chi invece lo criticò aspramente.
A sua difesa mi permetto di ricordarvi che il lavoro di Reigen, seppur illegale, non causa affatto problemi alla società, ma anzi contribuisce al benessere delle persone. Reigen è infatti sempre in cerca di un profitto personale e l’opera non tarda a mostrarcelo sin dalla prima stagione. Ma ciò che è fondamentale comprendere è che, in parallelo con il discorso del singolo e della società, Reigen non pone mai il suo profitto personale come priorità rispetto al prossimo, e più volte abbiamo visto che abbia esplicitamente rifiutato di fare del male, anche solo per finta, a delle persone. Il suo guadagno non deve mai calpestare il prossimo e, in fondo, il suo lavoro non fa null’altro che far passare dei momenti felici e rilassanti alle persone che cercano i suoi servigi. La differenza tra la sua mentalità e quel tipo di pensiero che è invece nocivo alla società si evince palesemente nel terzo episodio, in cui Reigen viene praticamente ingannato da un paio di ragazzini che lo spingono a compiere un esorcismo senza poi rispettare i patti e pagarlo per il servizio svolto. Reigen diventa vittima di quel comportamento che non avrebbe mai e nonostante questo non si dimostra vendicativo o rancoroso, ma anzi quando la seconda volta i ragazzi si ripresentano al suo cospetto egli si dimostra disposto ad aiutarli soltanto una volta confermata la loro volontà di pagare per davvero. Ma da un certo punto di vista questo suo atteggiamento dimostra anche la sua mancanza di professionalità nel settore, che viene evidenziata parecchio nel secondo episodio, nel quale, facendo un parallelismo con il secondo episodio della prima stagione, Reigen e Mob escono alla ricerca di clienti. Ma sin dall’inizio la narrazione si incarica di farci comprendere una cosa molto importante: tutte queste leggende che Reigen vuole esorcizzare probabilmente neanche esistono, ma lo scopo è semplicemente quello di indurre i clienti a pensare che il problema sia stato eradicato con successo. Il segreto del suo successo è un eccellente servizio al cliente, che riesce sempre a fornire grazie alle sua adattabilità e ottima capacità oratoria. Ciò che Reigen vende, infatti, non è la soluzione al problema ma l’illusione d’averlo risolto -un illusione mai nociva, certo, ma pur sempre un illusione. L’incontro con Shinra mette in evidenza tutti questi lati negativi del suo modo di fare proprio nell’approccio che ha alla richiesta di un cliente di esorcizzare tutte le leggende urbane. Shinra prende sul serio la richiesta e allo stesso tempo ne comprende la difficoltà, e per questo rifiuta. Esorcizzare tutte queste leggende sarebbe infatti un lavoro davvero dispendioso per il quale richiederebbe una grande somma di denaro in cambio, ed è proprio per questo che rifiuta il compito. Shinra pensa davvero a risolvere il problema, mentre Reigen è concentrato sul fornire al cliente la sensazione d’averlo risolto, ed è proprio per questo che accetta il compito con molta più facilità e determinazione nel portarlo a termine.
Ma tornando alla relazione tra Mob e Reigen, ciò che più mi ha piacevolmente sorpreso della gestione del loro rapporto in questa seconda stagione è stato il modo in cui la crescita interna di Reigen viene usata come base per risolvere proprio questo dilemma. Infatti in quest’arco narrativo è finalmente possibile provare la veridicità dell’affetto di Reigen verso Mob, che si rivela essere soltanto lo specchio sul quale Reigen proietta le sue insicurezze e i suoi fallimenti; in particolare la distorta interpretazione dell’amicizia è soltanto il riflesso di ciò che invece stava accadendo a lui. Reigen infatti viene da un contesto nel quale l’affetto non è mai concesso se non come maschera per sfruttare le persone. Non possedere amici, quindi, è forse per Reigen la migliore delle soluzioni in quanto gli permette di evitare di sfiancarsi inutilmente per delle persone che invece hanno solo intenzione di sfruttarlo. Reigen riflette questa sua immagine su Mob, che ai suoi occhi è soltanto un bambino che non conosce la crudeltà del mondo in cui vive. Estremamente preoccupato per la sua condizione e accecato invece dalla sua distorta visione della vita, finisce per diventare estremamente protettivo nei confronti del suo allievo e inizia ad imporre la sua visione delle cose al ragazzino in quanto genuinamente convinto di poterlo salvare dalla disperazione a cui, probabilmente, lui è spesso andato in contro. La manipolazione si rivela soltanto essere l’unico strumento che Reigen possiede per convincere Mob ad allontanarsi da ciò che il maestro ritiene pericoloso e che, se è per il bene del suo amato allievo, utilizzerebbe volentieri. E infine, come ciliegina sulla torta, a dimostrare il suo genuino affetto verso Mob è l’emozionante reazione le parole di quest’ultimo scaturiscono. Mai prima d’ora Reigen ha dimostrato il benché minimo interesse nei confronti del giudizio che gli altri hanno verso di lui, e di fatto neanche l’esser stato scoperto in diretta TV è stato abbastanza, eppure quello di Mob è per lui così importante da ferirlo profondamente e subito dopo risollevarlo come se nulla fosse. Mob è l’unica persona che Reigen non vuole deludere e a cui tiene con tutto se stesso e per la quale affronterebbe i più temibili e spaventosi esper dell’intero universo.
Dall’altro lato, questo confronto tra i due personaggi ci permette di risolvere anche il secondo grande dilemma del loro rapporto. Fino a quel momento lo spettatore è sempre rimasto nel dubbio riguardo la consapevolezza da parte di Mob sulla “vera” identità di Reigen, e nonostante ci siano stati degli indizi anche nella prima stagione Mob non è mai stato troppo chiaro nel rispondere ai dubbi. Quando poi Mob dichiara apertamente d’esser sempre stato al corrente dell’assenza di poteri psichici nel suo maestro per tutto il tempo, allora l’interpretazione stessa di questa parola si evolve insieme al loro rapporto. Se “maestro” era infatti, per lo spettatore, il simbolo dell’ingenuità di Mob e della sua impossibilità di determinare l’inganno di Reigen, adesso essa diventa il simbolo del loro nuovo e profondo legame. L’ammirazione che Mob gli ha sempre dimostrato con la parola “maestro”, infatti, non si è mai riferita alle sue inesistenti abilità psichiche, ma piuttosto alla sua capacità di cavarsela sempre e comunque nella vita senza possederle, ovvero esattamente ciò che egli vorrebbe riuscire a fare. Inoltre questa nuova interpretazione della parola si allaccia perfettamente al nuovo volto che Mob acquista dinanzi agli occhi dello spettatore, che abbandona la visione ingenua del personaggio (e che quindi fraintende la natura di Reigen) per lasciar spazio ad un personaggio più maturo.
La seconda stagione di Mob Psycho 100 ci pone davanti ad uno dei migliori e più interessanti sviluppi psicologici che un personaggio possa avere la fortuna d’avere senza però trascurare i personaggi secondari ed utilizzando il tutto per rafforzare ancora di più il chiaro e ben specifico messaggio che ONE vuole veicolarci attraverso la serie. Restano sicuramente delle incognite su personaggi come Tsubomi e sullo sviluppo di personaggi come Serizawa, ma il futuro, ragazzi, non può che essere luminoso.