La nascita dell’industria degli anime — Toei Douga & Hakujaden

Questo post è una traduzione da me realizzata di questo articolo scritto da Washi sul suo sito Washi’s Blog.


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Agli storici dell’animazione giapponese non va molto giù l’idea di doversi accontentare di un “primo anime”, e per questo tentano di scavare sempre più a fondo tra le reliquie più antiche del mondo dei cartoni giapponesi. Io invece dovrò scegliere un punto di partenza più pratico che non mi costringa a viaggiare in Giappone per svolgere qualche oscura ricerca. Una scelta alquanto comune negli articoli sulla storia degli anime tende ad essere il film La leggenda del serpente bianco (Hakujaden), e le argomentazioni che sostengono questa scelta sono piuttosto convincenti. In primo luogo, Hakujaden è il primo film d’animazione giapponese prodotto con fini commerciali e la prima pellicola d’animazione asiatica completamente a colori.

Ancora più rilevante è il fatto che è stato proprio questo film a porre le basi per la nascita dell’industria per come la conosciamo oggi. Per la prima volta, l’animazione giapponese non veniva più prodotta da una piccola compagnia indipendente che realizzava principalmente cortometraggi e lavoretti vari o magari dall’esercito, bensì da una grande azienda con molto personale e con un sistema di produzione completo il cui obbiettivo era quello di affermarsi nel settore. Non ho scelto La leggenda del serpente bianco perché è il primo cartone prodotto in Giappone, ma perché è grazie ad esso che la presenza di animatori nel mercato del lavoro nel Sol Levante è aumentata esponenzialmente e il fascino verso il medium è diventato parte integrante del repertorio nazionale. Se volete scoprire di più sul periodo antecedente a questo film, vi consiglio di leggere il libro Anime: A history, di Jonathan Clement.

Uscito nel 1958, La leggenda del serpente bianco è il primo film completamente a colori prodotto in Asia, e una volta uscito non ha di certo lasciato a desiderare, presentandosi con una qualità tecnica impressionante racchiusa nei suoi 214,154 disegni. La pianificazione del progetto è iniziata nel 1956, quando fu annunciato come un adattamento animato del film Madame White Snake, basato sul racconto popolare cinese chiamato Leggenda del serpente bianco, co-prodotto tra Hong Kong e Giappone.

L’allora presidente della Toei, Hiroshi Okawa, lo trasformò nel primo anello di quella che poi sarebbe diventata una catena di pellicole create dalla sua nuova società sussidiaria dedicata all’animazione, Toei Douga. Mentre la versione live-action del film fu prodotta anche ad Hong Kong, la sua controparte animata sarebbe stata realizzata completamente in Giappone. I due anni successivi che portarono alla pubblicazione del film rappresentarono un’enorme passo avanti per la nuova compagnia non solo perché in quel periodo riuscirono a creare un film d’animazione di tutto rispetto, ma anche perché nel farlo istruirono un’intera generazione di nuovi animatori — le fondamenta dell’industria. La leggenda del serpente bianco è la storia di Toei Douga.

La nascita di Toei Douga

La stessa Toei Company era sussidiaria della compagnia ferroviaria di Yokohama, la quale possedeva dei cinema attorno a molte stazioni ferroviarie che voleva utilizzare per raggiungere un pubblico di donne e bambini. Avendo notato l’attenzione che ricevette il rilascio della versione a colori di Biancaneve in Giappone nel 1950 e il potenziale guadagno che sarebbe stato possibile ottenere realizzando pubblicità animate per le emittenti televisive pubbliche, Okawa fondò Toei Douga con l’obbiettivo di diventare la “Disney dell’oriente”.

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Con ciò, però, non intendeva copiare il loro stile o le loro idee, bensì prenderli come un modello e riuscire ad ottenere ciò che loro ottennero, ma nel suo paese. Okawa puntava a produrre con costanza dei film che potessero rivaleggiare la qualità di quelli Disney e conquistare una mentalità da industria vera e propria; a raggiungere quella magnitudine di risorse umane capace di sfornare delle pellicole di altissimo livello con regolarità. Le sue dichiarazioni sul voler riuscire, con il tempo, a “produrre 2 pellicole di minimo 40 minuti di durata più altri piccoli progetti ogni anno” scioccarono persino gli animatori più anziani. Okawa non fu sempre ricordato come una persona carismatica o cordiale, però era senza dubbio ottimista e risoluto. Per quanto concerne il futuro dell’animazione, tutti concordano sul fatto che lui fosse ben più positivo persino degli stessi animatori che lavoravano per lui.

Creare il primo film giapponese a colori nel bel mezzo di un’industria ancora inesistente e senza alcuna esperienza previa in un progetto di tali dimensioni era un’idea incredibilmente audace in quel momento. Prima di Toei Douga, il più grande studio d’animazione giapponese era Nihon Douga-sha (Nichidou, per abbreviare), composto soltanto da 20 membri che lavoravano in uno studio improvvisato situato nei campi di un liceo. In passato avevano fatto qualche lavoretto indipendente, e ciò li rese le persone più vicine a poter essere definite animatori veterani in Giappone.

Nichidou divenne Toei Douga nel 1956, e di conseguenza anche gli animatori più anziani del vecchio studio, i veri e propri nonni degli anime, Yasuji Mori e Akira Daikubara, salirono sulla nuova barca. Con un notevole investimento entrambi si trovarono improvvisamente all’interno di un ufficio grande quanto un palazzo, nuovo di zecca, con l’aria condizionata, con scrivanie nuove e con tanto di personale ad assisterli. Il primo lavoro che produssero fu il cortometraggio in bianco e nero Kitty’s Graffiti, nel 1957, e poi iniziarono a lavorare ad Hakujaden.

Ovviamente per un progetto di tale magnitudine servivano molte più risorse umane, e per questo Toei iniziò a reclutare qualsiasi aspirante animatore in svariate università delle belle arti e più in generale ad assumere anche un numero grande di persone che provenivano da diversi settori. Nel dopoguerra era difficile trovare lavoro, e per i disoccupati questa rappresentò una buona opportunità per farsi accettare con poche o addirittura senza alcuna competenza e imparare col tempo. In quest’ondata di assunzioni arrivarono Yasuo Otsuka (un’altra figura enormemente importante nell’industria), Daikishiro Kusube e molti altri.

L’origine dell’animazione giapponese vera e propria è davvero riconducibile a questa gigantesca e volontaria iniezione d’impegno e, presumibilmente, capitale aziendale posta con l’obbiettivo di costruire praticamente da zero un’industria che potesse lasciare un’eredità.

Il primissimo ufficio di Toei Douga, costruito appositamente per lo studio

All’inizio, tra difficoltà nel recuperare i costi di produzione e conflitti tra i vari lavoratori, il percorso è stato indubbiamente arduo, ma alla fine Okawa raggiunse i ritmi di produzione a cui ambiva in 6 anni. In qualche modo, i suoi sforzi vennero ripagati molto più di quello che avrebbe potuto immaginare — Toei Douga, ormai diventata Toei Animation dopo esser stata rifondata, è tutt’ora uno degli studi più grandi in Giappone e, cosa ancora più importante, le persone che plasmò al tempo crearono a loro volta delle nuove generazioni alle quali dobbiamo gli animatori contemporanei.

Gli animatori — Yasuji Mori e Akira Daikubara & sottoposti

I due unici key animator ad apparire nei crediti di Hakujaden furono i due membri più anziani dell’ormai assorbita Nichidou: Yasuji Mori e Akira Daikubara. Non possiamo affermare con certezza che a lavorare ai key frames siano stati soltanto loro, ma quel che è certo è che i due hanno messo mano ad una gigantesca fetta di scene e che in generale furono delle vere e proprie macchine da lavoro. Per apprezzare al meglio il loro lavoro, è necessario comprendere che in quel periodo un key animator aveva un ruolo diverso da quello odierno. Al tempo non c’erano animation director, figuriamoci chief animation director, e, ovviamente, nessuno storyboard artist. In Hakujaden, quindi, gli animatori erano in cima alla piramide produttiva.

Inoltre, gli animatori avevano un altro ruolo importante: quello degli insegnanti. Replicando il programma di apprendistato attuato da Disney, la Toei si concentrò nel formare animatori attraverso i progetti in cui si lanciava. Ad un certo punto lo studio venne bollato un po’ per scherzo come “Università Toei”, e questo aspetto ha giocato una parte molto importante in Hakujaden. Sia Mori che Daikubara furono messi a capo di un team che avrebbe lavorato agli in-betweens delle loro animazioni e al contempo imparato dal loro monitoraggio e dalle loro correzioni. In totale, furono 30 gli animatori a mettere mano sulla pellicola.

Nei film successivi svilupparono un più strutturato e gerarchico “sistema di subordinazione”, ma all’inizio si trattava soltanto di una sorta di rapporto maestro/studente. Nei primi anni della Toei, i key animator furono dei veri e propri caposcuola e mentori di una generazione di animatori, non soltanto le figure responsabili dei disegni in una scena.

Negli anni successivi al rilascio di Hakujaden, la quasi totalità degli animatori avrebbe finito col lavorare sotto le loro direttive nella famosa “Università Toei”. Avendo ricoperto un ruolo così invasivo nel film, i due animatori iniettarono in esso tutta la loro unicità, riuscendo così a segnare profondamente quelle spugne che erano le generazioni sotto di loro.

Il film fu diviso tra i due in base alla loro filosofia d’animazione e predisposizione. A Mori furono affidati i personaggi più gentili e vivaci, in particolare gli animali, mentre Daikubara si incaricò dei più mascolini esseri umani e delle scene d’azione più brusche o con fenomeni naturali. Ma la differenza che li separava era molto più profonda di quella dei cut su cui avevano lavorato.

Per La leggenda del serpente bianco, lo studio si avvalse di una sorta di tecnica del rotoscopio, la quale era abbastanza comune nella filmografia Disney. Molte delle sequenze che includevano persone furono effettivamente filmate in uno studio e recitate da attori veri e propri. Successivamente, gli animatori utilizzavano i fotogrammi del filmato per i loro disegni. Questa metodologia pesò molto sia dal punto di vista economico che da quello organizzativo, dato che persino le parti più complesse come le tempeste di mare furono ricreate in questo modo. Ciononostante, la Toei continuò ad usarlo per almeno un paio di film.

Tale tecnica venne applicata principalmente alle parti di Daikubara in cui apparivano personaggi umani, mentre Mori dovette affidarsi ad un tipo d’animazione più genuino per le i suoi eccentrici animali. Di conseguenza, le parti di Daikubara finirono col presentare quella sgradevole sensazione di stranezza che è spesso intrinseca nel rotoscopio, mentre quelle di Mori esibivano con più chiarezza le fondamenta sulle quali si reggevano le opere iniziali della Disney.

Fu proprio la loro personalità a guidarli nel modo in cui lavoravano, e guardando il film lo si nota facilmente. Mori era ordinato e scrupoloso, e infatti i suoi sottoposti non avevano la vita facile. Daikubara, d’altro canto, accettava disegni con più tolleranza e apertura mentale. Le sue inclinazioni artistiche meno uniformi lo portarono, a sua volta, ad affidare determinate sequenze a diversi inbetweener in base ai loro punti di forza.

Mi chiedeva di disegnare qualcosa

Io lo facevo e lui iniziava a ridere moltissimo

Diceva ‘Mi sembra ben fatto. Strano, ma ben fatto’

Dopodiché prendeva e lo usava

— Yasuo Otsuka sullo stile di monitoraggio di Daikubara.

Uno dei più famosi inbetweener dell’epoca fu Yasuo Otsuka. Otsuka, situato in cima alla lista dei crediti degli in-betweens, lavorò principalmente alle sequenze che includevano la natura, tra cui le tempeste di mare e quella del pesce gatto gigante. Essendo sempre stato in grado di attingere da tutto ciò che lo circondava per disegnare, Otsuka comprò un vero pesce gatto per studiarne i movimenti — forse il primo passo verso il realismo negli anime. Successivamente Otsuka sarebbe diventato famoso per un’altra sequenza con un pesce gigante nel film La grande avventura del principe Valiant, per poi diventare un vero e proprio pilastro dell’animazione giapponese, influenzando profondamente prodotti come Samurai Giants e Lupin III, tra i tanti. Tuttavia, definirlo un discepolo di Daikubara sarebbe sbagliato dato che l’animatore lavorò molto anche con Mori, dal quale imparò tantissimo.

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Yasuo Otsuka da giovane

Otsuka era chiaramente una star tra le nuove reclute. Mise mano su alcune delle scene più memorabili del film e arrivò persino a rivendicare alcune key animation per la sequenza sul pesce. Ecco alcuni dei suoi disegni qui sotto: da notare l’assenza dei fori utilizzati per fissare i disegni durante le riprese. La Toei non iniziò ad usarli finché non passò al widescreen nel film successivo.

Un altro nome che appare nei crediti del film è quello di Daikichiro Kusube, uno dei subordinati di Mori. Nonostante fosse capitato con il più intransigente dei due, Kusube tentò audacemente di scavalcare il sistema di subordinazione per animare i propri cut (senza però finire nei crediti, ovviamente). Nonostante la scalata, Kusube sarebbe rimasto nella Toei soltanto per un’ulteriore manciata di anni per poi fondare il proprio studio, A Production. Kusube era famoso per l’abilità che aveva di attrarre personalità eccentriche nello studio, e molti di quelli che ebbero l’occasione di imparare da lui lasciarono velocemente il loro marchio all’interno del settore (come Keiichirou Kimura con L’uomo Tigre).

Questa metodologia di lavoro traspariva facilmente nelle loro animazioni; Mori realizzava dei cut più curati e ognuno di essi articolava precisamente la sua visione, mentre quelli di Daikubara erano più grezzi e variegati. Alle volte le sue animazioni apparivano un po’ disarmoniche, mentre in altre occasioni la loro poca cura riusciva a colpire nel segno — a seconda di quali inbetweener lo stessero aiutando.

Mori è molto più conosciuto di Daikubara. Persino in questa prima avventura della Toei, l’animatore riuscì con la sua matita a creare degli animali che possedevano un’aura così particolare da farli spiccare su tutto il resto. Non possiamo ignorare l’impatto di Daikubara, comunque — il suo spirito libero e la tendenza che aveva nel tentare costantemente di superare i limiti sia del realismo che dei disegni caricaturali più esagerati (coniati come stile mangateki kocho) ha spronato un’energia creativa nei suoi sottoposti che si sarebbe pian piano evoluta nella caleidoscopica industria che conosciamo oggi. Se volete scoprire di più su di lui potete leggere il necrologio a lui dedicato da Jonathan Clement.

Nel 1958 lo studio Disney era l’indiscusso imperatore dell’animazione, e tutti i nostri animatori della Toei tentarono con fervore di impadronirsi delle loro tecniche e conoscenze, importando e traducendo libri scritti dai loro animatori (come Animation: learn to draw animated cartoons di Preston Blair). Yasuo Otsuka arrivò persino a copiare manualmente i libri che prendeva in prestito dalla libreria, traducendo il testo e riproducendo tutte le illustrazioni. Nulla di sorprendente in tutto questo, in fondo Otsuka era particolarmente bravo nel disegnare con una precisione chirurgica sin da quando era un bambino infatuato dai treni a vapore.

Non ci vuole molto a notare l’influenza che tutte quelle idee hanno avuto sul loro lavoro, e questa pellicola le mostra in maniera particolarmente accentuata, quasi ad affermare che in quel particolare periodo lo studio fosse ancora nella fase d’apprendimento in cui imita il suo punto di riferimento. Ci sono un numero di cut che sembrano quasi concepiti con l’obbiettivo di mettere in pratica i concetti cardine dell’animazione, e con tutta l’ammirazione che si può provare verso la passione che hanno messo per animarli, alle volte il risultato finale sembra inseguire in maniera sin troppo evidente lo stile Disney.

Certi cut sono troppo da manuale, come ad esempio l’uso del famoso principio di “anticipazione” che vedete qui sotto.

I vari personaggi agiscono in maniera differente perché sono stati divisi tra vari key animator e inbetweener, ma anche perché ognuno di loro possiede una personalità unica e irripetibile. A riprova prendete le animazioni di Yasuji Mori — tutti i suoi personaggi hanno un atteggiamento e un ritmo nel camminare del tutto unico, e questo aspetto è assolutamente intenzionale. Ancora più evidente è il contrasto tra i movimenti più delicati e riservati della protagonista con quelli giocosi del giovane Xu-Xian, che spesso cammina a zig-zag, ruota su se stesso e in generale compie un sacco di movimenti innecessari¹. La differenza tra Panda e Mimi è più sottile: entrambi posseggono lo spirito animale di Mori ma hanno un ritmo del tutto personale.

Al tempo, c’era questa convinzione che i film d’animazione dovessero essere unicamente incentrati sulla spettacolarità — storie più sfaccettate dovettero cedere terreno a grandi e appariscenti sequenze di animazioni mozzafiato. Per questo sia Mori che Daikubara si dedicarono a creare sequenze con le quali avrebbero potuto spingersi oltre i loro limiti. Il risultato è un film che vi farà provare una sensazione di disomogeneità; che oscilla in maniera sin troppo evidente tra i loro due stili. Da un certo punto di vista, fu uno scontro tra due scuole d’animazione — l’ordine e la scrupolosità contro la libertà e disinvoltura. Otsuka ha descritto una delle lotte della pellicola (nella quale lui lavorò agli inbetween di Mori), come una zuffa tra un enorme maiale malvivente e un adorabile panda, proprio per far leva sugli stili diversi dei due animatori veterani.

Lo stile vigoroso e impetuoso di Daikubara era appropriato per un personaggio così grande e sgraziato, mentre il portamento leggiadro e fine del panda è quasi una personificazione di Mori.

Guardare le animazioni di Mori era come guardare Mori stesso

-Yasuo Otsuka

Il martello è un pezzo importante della primissima Toei, specialmente per Otsuka. Per entrare nella Toei Animation, infatti, egli dovette sostenere l’esame d’ingresso di Mori, il quale raffigurava proprio un ragazzo che colpisce un paletto con un martello. L’animatore sembra aver apprezzato il cut in maniera particolare considerando che continua ad usarlo tutt’oggi come esercizio nel suo attuale ruolo di insegnante alla Telecom Animation Film. Nella sua forma più pura è un ottimo modo per esercitare le fondamenta dell’animazione, utilizzando i key frame per raffigurare il senso d’equilibrio, il movimento umano e la gravità.

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Quello a sinistra con il cappello è Mori, e alla sua destra c’è Daikubara

Inutile dire che la differenza sia filosofica che stilistica tra i due è tutt’ora presente negli animatori contemporanei. Il continuo scontro tra un approccio all’animazione più libero e uno invece più rigoroso e tra la dinastia dei loro esponenti più rappresentativi sono riconducibili a questo film. Allo stesso modo, la pratica di assegnare cut ad un determinato animatore in base alle sue caratteristiche e peculiarità è rimasta intatta tutt’ora, arrivando a diventare un elemento distintivo dell’animazione giapponese.

Capacità produttive iniziali

È interessante notare che il lavoro degli animatori non è poi cambiato così tanto sin dal rilascio di Hakujaden, approssimativamente 60 anni fa. Certo, i ruoli ormai sono diversi e ci sono nuovi strumenti come i tablet — ma in fondo stiamo sempre parlando di artisti che disegnano key-frames e in-betweens. A subire l’impatto più forte dell’avvento tecnologico è stato il processo che avviene ai disegni dopo queste due fasi, specialmente negli ultimi decenni.

Prima del 2000, approssimativamente, ogni disegno doveva essere replicato su dei strati di rodovetro trasparente, scrupolosamente dipinti a mano e poi inseriti come livello in una macchina chiamata animation stand, la quale permetteva di effettuare il processo di compositing, d’illuminazione e di registrazione dei singoli fotogrammi.

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Il già menzionato animation stand usato dalla Toei per filmare Hakujaden

Probabilmente ci siete arrivati da soli, ma stiamo parlando di un processo assurdamente più dispendioso rispetto al semplice scannerizzare i vari rodovetri? e fare il resto con i software! Da questo punto di vista, il lavoro effettivo che gli animatori svolgevano in passato era relativamente minore — c’erano molte più persone a lavorare ai colori e alle riprese. Ecco perché Hakujaden fu una vera e propria impresa — munirsi di maggiore forza lavoro e di strumenti tecnologici non sarebbe comunque stato né economico né semplice.

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Il primo dipartimento di colorazione e di riproduzione dei disegni della Toei 

Mentre il dipartimento d’animazione dello studio era quasi completamente composto da uomini, quello di colorazione/riproduzione dei disegni era pieno di donne, e pure malpagate. In giro c’era quest’idea che le donne avessero un occhio migliore per i colori, mentre gli uomini fossero più bravi nell’arte del disegno, abilità necessaria per l’animazione. Sfortunatamente, questo tipo di pensiero venne utilizzato per impedire alle donne di scalare e ottenere quindi ruoli meglio pagati nel settore, e questo si sarebbe poi rivelato essere uno dei fattori alla base dei conflitti presenti all’interno dello studio. Nonostante questi problemi, il dipartimento di colorazione originario dello studio sarebbe diventato rinomato, e in pochi sarebbero riusciti a rivaleggiare la sua varietà di colori.

I colori di Hakujaden sono vivaci e ben spianati, e il loro calore caratteristico delle pellicole cinematografiche si sposa perfettamente con quel tipo di animazione. Durante il film, però, è possibile notare qualche errore tutto sommato anche abbastanza evidente.

Un altro punto importante è che le linee non sono molto accentuate, e la palette è dominata da colori tenui ma comunque vivaci. Le linee sono scrupolosamente colorate dello stesso colore dell’area in cui si trovano (ovvero si mimetizzano con il colore della pelle o il colore del tessuto dei loro vestiti). Ciò è dovuto principalmente al fatto che al tempo i gruppi di riproduzione dei disegni e colorazione facevano parte dello stesso dipartimento e alla fin fine i disegni dovevano comunque essere ricolorati per intero da loro. Innovazioni future come la xerografia e l’invenzione di macchine per la ricalcare permisero di fotocopiare le linee direttamente sul rodovetro, facendo così risparmiare il lavoro ai coloristi. Non sono sicuro se la Toei utilizzasse questi due strumenti per i loro film (lo facevano senza alcun dubbio per le loro serie TV), ma entrambi coincisero con un predominante cambio di stile verso linee nere (che, cosa interessante, in questo periodo sta cambiando nuovamente).

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Il dipartimento dei fondali darebbe del filo da torcere a qualsiasi produzione contemporanea — una prova significativa del fatto che disporre di tecnologie all’avanguardia non rende necessariamente migliore la propria arte.

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L’appena menzionato dipartimento dei fondali

Stranamente, tale dipartimento è proprio quello che più si allontana dallo stile Disney in questa fase iniziale, rinunciando ad un fascino fiabesco e delicato per optare invece per uno più astratto e rozzo. Nonostante spesso passino inosservati, gli sfondi sono sempre stati l’elemento degli anime dal sapore più giapponese, e di fatto hanno sorretto tante delle opere più rappresentative del medium.

Il lavoro della fotografia e del compositing è superficiale nel migliore dei casi. I vari livelli sono relativamente stabili, cioè privi di oscillazioni evidenti o magari di capelli o di sporco, il che è un aspetto positivo e francamente meglio gestito di tanti altri anime che sarebbero usciti nelle decadi successive. Ciononostante, il risultato è molto semplicistico e non riesce a capitalizzare sul potenziale artistico che invece potrebbe offrire.

Molte inquadrature mancano di profondità — la telecamera ritrae i personaggi quasi sempre in maniera piatta. Ciò potrebbe essere dovuto in parte al modo caratteristico che c’era al tempo di inscenare gli avvenimenti in una produzione cinematografica, ma probabilmente la causa principale è che questo tipo di approccio rendeva le animazioni più facili da disegnare e ancor di più da filmare. La telecamera, inoltre, sembra evitare costantemente il “movimento” — seppur sia possibile imbattersi in dei pan, il film è principalmente una serie di inquadrature statiche. E quando questi pan appaiono, risultano molto conservativi e monodimensionali. Oramai noi appassionati siamo abbastanza viziati grazie ad un compositing digitale che incoraggia la telecamera a muoversi a destra e a manca. Mentre tornando indietro nel 1958 l’animazione possiede ancora quella sorta di essenza inestinguibile ma che ormai è impossibile non notare.

D’altro canto, un certo numero di cut riescono a creare una sensazione di profondità grazie ad un compositing ingegnoso che non si accontenta semplicemente di disporre i vari livelli dei fondali in primo piano e sullo sfondo. I personaggi si muovono spesso dentro e fuori degli elementi dello scenario, dietro gli angoli delle varie costruzioni, attorno ai pilastri etc…, riducendo per quanto possibile la sensazione di piattezza.

Si sono anche dilettati inserendo degli FX decisamente rudimentali ma per i quali non posso non assegnare loro qualche punto. Questi effetti visivi, utilizzati per le riprese live action, sono il risultato di svariati pattern luminosi interconnessi.

Problemi interni

Eppure (almeno secondo Jonathan Clement), nonostante tutti gli sforzi gli animatori non furono parecchio soddisfatti del risultato finale, e tra questi c’era anche Mori. Se dovessi tirare a indovinare, direi che ciò avvenne a causa dell’ambiente più rigido e industrioso di una Toei che al tempo prosciugava completamente i suoi artisti piuttosto che ispirarli. Non è affatto una coincidenza che coloro che sono cresciuti professionalmente in questo ambiente per poi passare allo studio Ghibli, Hayao Miyazaki e Isao Takahata, hanno col tempo acquisito la fama di essere molto esigenti. Non è soltanto una questione generazionale, Toei fu un istituzione che forgiò registi severi e che di conseguenza fece cambiare quelli dal carattere più libero.

Nonostante fosse stato lui a fondare la Toei, Okada era lontano dall’essere un leader ben voluto.

“Era un Re presuntuoso”, scrisse Mori nella sua autobiografia, “e raramente parlava con noi lavoratori comuni”. Lo incontrai una volta quando finimmo di lavorare ad Hakujaden. Daikubara ed Io, che ci occupammo della key animation, fummo invitati nel suo ufficio, e lui ci disse soltanto “grazie per il vostro lavoro” con la sua voce acuta, simile a quella di quando riproduci una registrazione vocale in fast forward. Poi durante l’autunno dell’anno in cui fu fondata la Toei Animation venne organizzato una giornata sportiva per tutti gli impiegati dello studio e i loro familiari, e il team di animatori vinse il primo premio per il vestito più fantasioso. Mi recai per ricevere il premio in denaro, e in quel momento mi disse “è stato molto divertente” con un tono di voce che faceva capire chiaramente che stesse mentendo.

Suvvia, ascoltate la sua lagna super acuta nel “trailer” di Hakujaden.

All’inizio c’era questo conflitto per il divario remunerativo che separava gli animatori e i responsabili dei fondali con il personale che si incaricava di lavori di minore importanza all’interno dell’ufficio — personale arrivato dall’azienda ferroviaria o altri gruppi dello stesso ramo. Determinati aspetti problematici del sistema di subordinazione, inoltre, finirono col ripagare allo stesso modo gli scansafatiche e coloro che si impegnavano. Queste problematiche finirono man mano con l’esplodere, però Hakujaden fu prodotto a discapito di tutto.

La situazione non fu sufficiente ad impedire agli animatori più rinomati di dar vita alle loro animazioni, però alla fine questi non riuscirono a connettere con il film allo stesso modo in cui avrebbero fatto successivamente.

Conclusione

Potremmo dire che Hakujaden non merita d’essere menzionato soltanto come un dato di fondamentale importanza, ma anche come il vero punto di partenza, sia in termini di approccio alla produzione che all’organico, dell’industria degli anime per come la conosciamo oggi: un organismo conformato da catene di influenze personali e filosofiche in perenne evoluzione. Seppur il film ebbe successo, non riuscì in alcun modo a far arricchire la Toei Douga (il costo enorme di produrre animazione era così grande che persino Disney al tempo riusciva a malapena a recuperare gli investimenti). Allo stesso modo non fu neanche particolarmente acclamato dalla critica o stimato per la sua narrazione (anche se Miyazaki dichiarò sinceramente d’esser rimasto stregato da Pai Niang). Piuttosto, fu il semplice fatto che quel film era stato prodotto a renderlo importante.

Grazie alla visione di Okawa, al talento degli unici animatori giapponesi veterani, Mori e Daikubara, e all’incredibile lavoro di tutti gli innumerevoli membri dello staff, il Giappone era riuscito a creare una pellicola d’animazione cinematografica a colori. Questo sensazionale risultato incoraggiò un’intera generazione di futuri animatori, dimostrando che il medium aveva un futuro nel paese. Probabilmente un grande numero di persone pensò che l’industria degli anime sia nata così, dal nulla, ma il fatto è che la sua esistenza la dobbiamo alla voglia di mettere in atto questo enorme progetto. Okawa non era certamente appassionato del suo settore, ma forse senza la sua determinazione gli anime in Giappone sarebbero ancora piccoli cortometraggi realizzati da gruppi indipendenti.

Fonti/Approfondimento

Ben Ettinger ha scritto tantissimo sui film di Toei e suoi loro animatori sul suo sito Anipages. I suoi articoli sono da leggere assolutamente.

Il fantastico libro di Jonathan Clement sulla storia degli anime Anime: A History, e gli articoli scritti sul suo blog.

Le profonde riflessioni di Thomas Lamarre nel libro The Anime Machine.

Il documentario su Yasuo Otsuka – Yasuo Otsuka’s Joy in Motion

Il post sulla Toei Douga pubblicato sul sito Nerima Animation (Giapponese)

Note di traduzione

1: Con buone probabilità Washi si riferiva in realtà a Shao Qing, la quale durante la pellicola si muove proprio nella maniera che descrive. Xu-Xian è tutt’altro che irrequieto.

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