Il Re Leone (2019) è troppo bello

Dato che vivo all’estero ho avuto modo di guardare Il Re Leone (2019) con un mesetto di anticipo rispetto alla data d’uscita italiana e ho deciso di portarvi qualche breve considerazione sulla pellicola che spero possa generare qualche dovuta riflessione sull’evoluzione che il nostro amato medium sta avendo.

Ma perché parlarne qui? Seppure persino alla Disney non vogliano ammetterlo, Il Re Leone di Jon Favreau è effettivamente una pellicola d’animazione, e dopo averla vista ho sentito una forte urgenza di sottolineare come il modo in cui sia stato approcciato questo remake abbia finito col distruggere tutto quello che di bello aveva il film originale.


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Non è certo la prima volta che Disney ripropone alcuni dei suoi classici in chiave realistica, e la pratica in sé non è affatto da condannare a prescindere se portata alla luce in modo responsabile. Il tempo passa, le strumentazioni migliorano, i bambini di una volta invecchiano e privare le nuove generazioni di certi capolavori indimenticabili, che inevitabilmente escono sconfitti dalla lotta contro il tempo, sarebbe troppo crudele. Però mentre pellicole come Aladdin riescono, con tutti i loro difetti, a lasciare in qualche modo una buona impressione generale, è davvero difficile poter dire lo stesso per questo remake.

La già discutibile scelta di riproporre il film originale seguendo quasi per filo e per segno le vecchie inquadrature nonostante il cambio d’approccio si rivela infatti piuttosto infelice in quanto non fa’ che rendere più evidente l’abissale differenza che separa le due pellicole per quanto riguarda l’impatto emotivo e anche visivo di certe scene e/o sequenze. Quelle che invece subiscono un cambiamento sostanziale sono ovviamente le sequenze delle performance musicali, dove però è possibile notare un tentativo da parte della regia di nascondere, attraverso le inquadrature e i movimenti della telecamera, la palese inconciliabilità tra i personaggi creati con la CG e le (pochissime) movenze che vanno a realizzare.

Per quanto questo tentativo di descrivere la realtà in tutta la sua complessità riesca effettivamente a portare sul maxi schermo delle ambientazioni semplicemente mozzafiato, va anche detto che queste sono prive di quella magia e suggestività che caratterizzava invece la pellicola del 1994. In questo caso non solo le ambientazioni perderanno paradossalmente gran parte del loro impatto scenico nonostante la loro indiscutibile bellezza, ma anche i stessi personaggi faticheranno a coinvolgere lo spettatore allo stesso modo. Tanto l’utilizzo distintivo dei colori, utilizzati per identificare in modo chiaro la natura di certi personaggi e la particolarità di certe ambientazioni, quanto le spettacolari coreografie che caratterizzavano le canzoni della pellicola originale spariscono del tutto per far spazio ad una fotografia che tralascia completamente lo spirito della pellicola originale, ad un character design che in alcuni momenti di silenzio o di confusione renderà indistinguibili alcuni personaggi, e a delle performance musicali dove questi semplicemente camminano.

Questo iper-realismo finisce inevitabilmente con l’indebolire un costrutto narrativo che trovava in una trasposizione più creativa il suo più grande punto di forza, finendo col condannare la storia a raccontarsi forzatamente incorporando al suo interno delle immagini che però non la supportano affatto. Stiamo parlando di un film che sceglie volontariamente di rinunciare all’espressività che il medium permette e che finisce quindi con l’appesantire ancora di più il ruolo del sonoro e dei doppiatori. E per quanto sul primo ci sia davvero poco di cui lamentarsi, affidare una fetta così abbondante dell’anima di ogni singolo personaggio alla bravura del suo doppiatore può rivelarsi un’arma a doppio taglio, specialmente se consideriamo che ormai è parecchio comune concedere il ruolo a figure non professionali ma indubbiamente famose con il solo scopo di attrarre il pubblico.

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Quest’immagine semplicemente parla da sola. Il volto del piccolo Simba tradisce quell’ingenuità che lo farà cader preda del malvagio piano che Scar sta palesemente tramando.
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Questa invece è tutto fuorché capace di evocare una qualche atmosfera.

Con ciò comunque non sto’ certo affermando che Il Re Leone sia un film brutto, anzi la realtà è che è bello… molto più bello di quanto fosse necessario. Tuttavia sarebbe falso affermare che nonostante tutto il film non riesca in alcun modo a generare una qualche emozione. Sia per quanto riguarda le scene comiche, le canzoni iconiche e alcuni tragici eventi è davvero difficile rimanere impassibili. Ma il punto è che non lo fa allo stesso modo del suo predecessore e soprattutto non lo fa attraverso le novità grafiche che introduce. Indubbiamente nello spettatore un po’ più stagionato è stato molto più semplice colpire il bersaglio grazie al fatto che viene toccata una certa corda nostalgica, però per quanto riguarda i ragazzini mi chiedo davvero se questo film sia in qualche modo riuscito a lasciare lo stesso ricordo indelebile della sua controparte originale. E per quanto sia vero che non possiamo saperlo, quel che è certo è che questo remake si impegna molto di meno per raggiungere questo obbiettivo.

Perché in fondo è un po’ questo il problema principale de Il Re Leone (2019): l’essersi arrestato dinanzi alle barriere della realtà caplestando il suo stesso passato e la fantasia delle nuove generazioni. L’aver rinunciato all’ineguagliabile potenziale artistico e creativo che l’animazione tradizionale offre finendo per far affondare con sé anche la storia che vuole raccontare.

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